martedì 30 aprile 2013

Casa verde, caffè bosniaco e Nosferatu

Siamo tornati in Italia ed è tempo di riaggiornare il blog con tanti altri ritratti di persone che abbiamo incontrato in viaggio, quasi sempre per caso.

Martedì 23 aprile, nel pomeriggio

Quello con Ado Hasanovic non è stato un incontro per caso. E' amico di Roberta Biagiarelli, a detta sua "un artista totalmente fuori dal coro, uno tosto che si è costruito da solo un futuro".
Aspettiamo di comprare la sim card bosniaca e lo chiamiamo. Sa un po' di italiano perchè ha avuto due fidanzate italiane. "Ciao, bella. Come va? Ci vediamo davanti alla cattedrale".  La cattedrale si colloca nella parte austriaca(più cool-fighetta) della città, di fronte a un lungo viale pedonale in cui i giovani si trovano a bere qualcosa a tutte le ore del giorno sotto una sfilza di mega schermi ultrapiatti di ultima generazione( di sera è facile vederli tutti contemporaneamente sintonizzati su una partita di calcio). Questo per dire che Sarajevo oggi non è quasi più la città delle case bombardate e dall'intonaco butterato di proiettili. E' una capitale  in cui i giovani si comportano come in tutte le altri parti del mondo: escono, vanno a ballare o a bere qualcosa. Le ragazze osano spesso minigonne tanto apprezzate dal pubblico maschile che risponde con giacca, mocassino e ingellata ai capelli.


Ado si presenta davanti alla cattedrale in bicicletta. E' uno dinamico, non sta fermo un attimo. Gesticola, saltella dal poco italiano all'inglese più agevole. Ci incamminiamo verso la "casa verde", così definisce la sua di casa. Secondo me più che verde erba sembra azzurra o al massimo verde acqua. Ma non so come si dice in inglese verde acqua. Forse green water? Ci inerpichiamo per le stradine di Baščaršija, anche "Jovan Divjak abitava qui, credo" mi dice Ado. La casa verde è una costruzione tipicamente ottomana, con l'ampio cortile interno che dà accesso alle varie aree dell'abitato. Mi fa venire in mente la casa di Svrzo, scorta su una guida di Sarajevo prima della partenza. La vado a ripescare "Entrando nella casa di Svrzo ci si trova nell'avlija(giardino interno) e nella parte chiamata selamluk, dove si salutava gli ospiti. Dal giardino degli ospiti si accede alle stalle e poi attraverso una scala in legno si sale al piano di sopra, al quale si accede dalla veranda". Ado abita sul lato sinistro rispetto all'entrata del giardino, le stanze dal lato opposto sono in fase di ristrutturazione. Non so perchè mi sto dilungando a descrivere la casa verde di Ado, forse per il fatto che a Reggio Emilia case di questo tipo non esistono. Ma arriviamo a parlare di lui.



Ado è nato a Srebrenica, ma vive a Sarajevo perchè studia regia alla Sarajevo Film Academy. E' ormai un nome nel circuito della cinematografia bosniaca. Il suo "Angelo di Srebrenica" ha vinto nel 2011 il "Sigillo di approvazione" alla Erasmus Euro Media Award a Vienna e "The blue vichingo" è stato premiato come miglior film documentario al Festival di Snapshot balcanica ad Amsterdam e al Duka Fest a Banja Luka. E' quasi sempre stato presente nelle ultime edizioni del Sarajevo Film Festival e ci ha promesso che parteciperà anche alla prossima edizione del nostro Reggio Film Festival. 




Ci ospita nel suo salottino e ci insegna a fare il caffè bosniaco. Tutti a Sarajevo lo chiamano caffè bosniaco, ma in realtà è semplicemente la ricetta di quello turco. Caffè bosniaco di Ado: prendi due o tre cucchiai di caffè e li metti a freddo dentro una tazza, aspetti che l'acqua arrivi a bollore e la versi dentro la tazza comprendo il caffè. Mescoli, aggiungi lo zucchero ed è fatta. Il caffè turco è famoso per un lungo processo di decantazione che permette al caffè di depositarsi nel fondo della tazza. Bojan, un altro amico incontrato per caso a Sarajevo, ci ha confessato che-riporto letteralmente- "il caffè bosniaco è la prima fonte di cazzeggio per i Bosniaci". Infatti spesso li vedi tutti seduti ai tavoli nel quartiere ottomano conversare e fumare per ore e ore con il loro caffè bosniaco tra le mani.


Con Ado abbiamo parlato di tutto. Questo è quello che mi è rimasto dentro: "Vale, i ragazzi bosniaci non devono piangersi addosso perché sono nati sulle macerie della guerra. Ognuno sceglie per il proprio futuro, se vuoi cambiare le cose lo puoi fare. Io sono nato a Srebrenica, ho subito la piaga del genocidio di Potocari a pochi chilometri da casa, ma ho avuto comunque la forza di rialzarmi, credere nei miei sogni. Non provengo da una famiglia ricca, mi sono rimboccato le maniche. Ho sempre lavorato per mantenermi all'università, per perseguire il mio sogno di diventare regista. Ecco, non piangiamoci addosso. Crediamo nelle nostre possibilità fino in fondo e andiamo avanti a testa alta". Questa è la Bosnia che non mi aspettavo di incontrare, quella più autentica che dalla guerra ha imparato a guadagnarsi uno spazio nel mondo attraverso dedizione, passione e sudore. Inaspettata come l'invito di Ado: "Andiamo a vedere stasera insieme Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau, film muto del 1922?"





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