mercoledì 24 aprile 2013

Novo Mesto-Zagabria-Slavonski Brod

Lunedì 22 aprile

E' un'emozione oltrepassare due frontiere in un giorno solo. Ti fa sentire in grado di abbracciare il mondo in un batter d'occhio.

ore 10
La Slovenia è ancora Europa, in tutto viziata dall'oltretriestino, troppo simile al nostro Bel paese. Arrivare a Zagabria da Novo Mesto sarebbe molto semplice, se non fosse per l'imbocco dell'autostrada che non troviamo e siamo costretti a tornare a Otocec per indovinare l'entrata giusta  verso est.

Poco prima di Zagabria arriva la prima dogana. Slovenia-Croazia. Non sono più abituata alle frontiere, mi ricordano ormai obblighi desueti che l'Unione europea ha in parte spazzato via.
E' molto singolare questa sorta di limbo in cui le persone attendono dopo la convalida della polizia slovena per l'uscita anche quella della polizia croata per l'entrata. Si potrebbe immaginare un dialogo tra frontiere: "Te lo lascio. Ok, me lo prendo". In realtà il limbo termina nell'arco di pochi minuti: è un semplicissimo controllo dei documenti d'identità.

La Croazia non ce la gustiamo per nulla perchè da Zagabria imbocchiamo l'autostrada che sulla Touring è  evidenziata con uno splendido color fucsia. Ed è realmente una strada splendida. Si va come il vento, in poche ore siamo al confine con la Bosnia. Località Slavonski Brod.
Mi ricordavo di una frontiera in corrispondenza di un ponte dal mio viaggio al confine tra Alsazia e Germania ed è sempre suggestivo perchè la presenza del fiume rende il passaggio da uno stato all'altro più solenne. Una sorta di attraversamento forzato che ti ricorda della fine di qualcosa e dell'inizio di qualcos'altro.

ore 13






Ebbene l'inizio della Bosnia Herzegovina è un letale colpo allo stomaco. Forse esistono modi di dire meno profani per descrivere il senso di profondo disorientamento che ti assale una volta arrivati a Bosanski brod. Chi è convinto che la ricostruzione di Sarajevo abbia fatto da capolista a quella dell'intera Bosnia si sbaglia profondamente. Dal confine nord con la Croazia fino all'altezza di Doboj si parla solo la lingua dettata dalla desolazione postbellica. Dopo un pranzo umile e delizioso accanto a uno dei pochi distributori di benzina a Bosanski Brod mi metto alla guida io del doblò. Forse la scelta più saggia del viaggio fino a questo momento.   Mettersi al volante tra gli scheletri di una Bosnia che non esiste più è un'emozione tale che ogni due chilometri ci fermiamo a fissare in silenzio il paesaggio. La terra non ha voce, ogni tanto si incontrano per strada anziani che ti salutano dall'alto della loro povertà vestita con garbo: non sono avvezzi alle telecamere di chi si sofferma, sono cittadini di paesi che non esistono, dimenticati da un mondo che non ha tempo di posa perchè corre ad ingigantire le metropoli. Fino a Doboj s'incontra la Bosnia che mostra il suo volto struccato, con i buchi dei proiettili, le fondamenta pericolanti dai bombardamenti. Le poche case ricostruite sembrano soffrire dell'ansia da protagonismo e sono quasi sempre tinteggiate con intonachi dai colori improbabili dal viola scuro al blu elettrico al verde pistacchio. I toni scuri delle macerie sono ironicamente inframezzati ogni tanto da una chiazza di colore, un singhiozzo di quella rinascita che tarda ad arrivare. Spesso si stagliano sulle colline tombe bianche musulmane o nere ortodosse, non ci sono altre vie per raggiungere il sud dall'alto: l'evidenza non risparmia nessuno, nemmeno chi presume di passarci distrattamente come se questo non fosse mondo.





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