venerdì 26 aprile 2013

La carezza del generale



Martedì 23 aprile

C'è un uomo a Sarajevo che tutti chiamano il "nostro grande generale". Jovan Divjak è il nonno di tutti gli orfani della Bosnia, un serbo di nascita che ha sempre scelto di combattere per la salvezza bosniaca. Vice comandante della difesa territoriale della Bosnia durante la guerra del 1992-1995 da Belgrado è arrivato a Sarajevo nel 1966 e non l'ha più lasciata.


Lo raggiungiamo in Dobojska Ulica, 4. Qui dal 1994 ha fondato l'associazione "Education builds Bosnia Herzegovina". Come per dire: soltanto l'educazione può (ri)costruire la Bosnia Herzegovina. Mi confessa che avrebbe voluto studiare pedagogia all'università, ma sua madre lo ha costretto da giovane ad entrar nell'esercito. Jovan è un militare con l'amore per i bambini.

"Education builds Bih" è dedicata a loro. Ai tanti orfani di guerra e ai ragazzi con disabilità che senza l'appoggio dell'associazione non avrebbero avuto alcuna possibilità di ricostruirsi un futuro. Jovan a loro ha teso la mano, li ha accuditi facendoli studiare e viaggiare.

Per arrivare a Dobojska Ulica perdiamo un sacco di tempo, per merito del nostro fidatissimo Garmin che ci spedisce dritti in strade chiuse in salita da cui riusciamo a uscire soltanto a passo d'uomo in retromarcia. Siamo tra i monti che si affacciano su Grbavica, la sede dell'associazione ha un'entrata minuscola. Quasi introvabile. Quando ci presentiamo all'entrata Jovan non c'è. Siamo giustamente arrivati in ritardo. (colpa di cui si macchiano spesso i giornalisti!!!). Al suo posto ci attendono quattro miei coetanei. Sono quattro dei tanti che Jovan ha preso per mano. Melina, Amir, Emina, Ajla. Ci sediamo in cerchio e si inizia a parlare. E' una chiacchierata tra giovani che condividono le stesse preoccupazioni per il futuro. Io non sono la fortunata e loro gli orfani. Sono ragazzi che hanno tutto da insegnare, che parlano l'inglese come se fosse la loro prima lingua, che hanno visto il mondo. Si divertono, vanno all'università. Mi raccontano che qui non c'è lavoro, che il governo non fa altro che agevolare gli interessi di casta e non dà possibilità ai giovani. E io non faccio altro che rispondere: also in Italy. La parola che ricorre è "chance", manca appunto l'opportunità di una svolta, anche la sola speranza di una Bosnia che possa iniziare finalmente a camminare sulle gambe dei giovani. Finiamo per ritrovarci tutti con gli stessi dubbi e gli stessi sogni.






Nel frattempo Jovan è tornato. Ci accoglie al piano di sotto nel suo studio colmo di peluche. Parla solo francese ed è tenero osservarlo mentre mi ascolta tentennare un " ehm I was born ehm Je suis née in (come cavolo si dice 1992 in francese?!?) ehm sorry a moment". Caspiterina, non mi viene in mente nessuna parola in francese, solo qualche espressione da analfabeta al primo stadio d'apprendimento del tipo bonjour, oui oui, merci.
Per fortuna che Jovan con la prontezza tipica dei militati recluta Melina per farci da interprete dal serbo croato all'inglese. Ci spostiamo sul balcone, la vista da qui è strepitosa.
La vita di Jovan è racchiusa in un libro dal titolo "Sarajevo mon amour". Ecco perchè mi strizza l'occhio e mi dice: "Non c'era nemmeno bisogno di venire qui, nel libro c'è già scritto tutto". In realtà non è un libro scritto da lui, ma è una lunghissima intervista divisa in vari capitoli rilasciata alla giornalista Florence La Bruyère. Mi preme chiedere a Jovan quanto gli accordi di Dayton del 1995 abbiano influito nel processo educativo dell'intera Bosnia. "Gli accordi di pace non hanno fatto altro che esasperare la frammentazione. Ancora oggi i programmi scolastici sono diversificati in base al credo e spesso l'integrazione è ostacolata. Tuttora esistono partiti politici nazionalisti che rivendicano autorità, famiglie che impediscono matrimoni misti". Davanti a un caffè bosniaco, il grande generale ha la premura di ascoltarmi a lungo, mi chiede ad esempio se conosco la differenza tra bosniaco e bosniacco e poi ancora: "Sono nato a Belgrado in Serbia, ma non sono un "Serbian". Qui siamo tutti ed esclusivamente bosniaci, non importa se musulmani, cattolici o ortodossi"




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